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Si compila un business plan anche per i musei?
Si, anche non sempre e meglio si definisce come piano economico.
La sua forma viene stabilita dallo statuto museale, che indica mission e modalità di gestione.
Il museo può essere infatti definito come un’impresa, e quindi un’organizzazione con risorse finanziarie da gestire e quindi da pianificare.
Ecco allora che il museo ha comunque e sempre un proprio bilancio di entrate e uscite, mentre quello che varia sono le modalità con le quali si hanno, oppure si recuperano, i fondi.
Il confine è allo stessi tempo abissale quanto sottile, e quasi mai netto.
Ipotizziamo che un museo abbia un fondo di dotazione costante nel tempo, proveniente da una fonte sicura e perenne, come ad esempio, la quota fissa di una fondazione, di una istituzione pubblica o ancora proveniente da sostenitori come aziende e privati, o più in generale, dai cosiddetti “amici del museo”.
Ecco che su questi fondi, insieme ai biglietti, all’affitto delle sale, ai proventi del bookshop e ancora i bar e ristoranti o la vendita di altri servizi, il museo programma le sue attività e, in questo caso, il piano economico è quasi completo…
Diverso invece se nello statuto museale ci sono altri scopi, come quello di un pareggio di bilancio, oppure l’ottenimento di un utile, in cui sono presenti dei contributi fissi e altre entrate derivanti da attività museali, ricreative, culturali, espositive, di formazione oppure dalla compravendita di opere d’arte e di altri beni.
Ognuna di queste voci d’incasso e di spesa, diventa anche voce di bilancio, rendendo il piano economico più complicato.
Paradossalmente si potrebbe dire, più incassi, più problemi, ovvero più spese per produrre incassi, per gestire le vendite, per amministrare e per investire.
Solo pochissimi musei al mondo possono dirsi interamente sorretti da attività di business, seppure la loro gestione resti protetta da sguardi indiscreti.
Sono invece più diffusi i musei contraddistinti da modelli gestionali cosiddetti di tipo commerciale, questi riferibili in misura maggiore ai grandi musei che operano nelle grandi città turistiche.
Tuttavia, bisogna subito evidenziare che per i musei esistono regole generali e fondanti, come quelle dichiarate dall’ICOM, International Council of Museums.
L’ICOM stabilisce che i musei sono: “Istituzioni permanenti, aperti al pubblico, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, che compiono ricerche riguardo le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente e, soprattutto, le espongono a fini di studio, educazione e diletto”.
Tutti i musei, soprattutto quelli statali e pubblici in generale, come quelli delle fondazioni e quelli dei privati, hanno aderito a questo dettato comportandosi di conseguenza.
Per questi musei, che sono la maggioranza, nella gestione, più che di business si parla di grado di autonomia e si separa la percentuale derivante dai contributi pubblici da quella delle vendite.
Per molti musei, pur nel rispetto delle indicazioni dell’ICOM, i modelli di gestione sono cambiati, infatti da un mandato di tipo “collection centered”, inteso come musei di raccolta, si passa a un mandato per i musei definito “audience centered” che prevede gli utenti come centrali per le loro strategie di gestione.
In una ricerca condotta nel 2018 da Federlculture, “la Federazione di Aziende ed Enti di gestione della cultura”, ha evidenziato che in media il bilancio delle fondazioni è composto per il 62% da ricavi derivanti dalle vendite di biglietti, gadget e altri servizi a pagamento.
Il risultato migliora, sino a raggiungere il 75%, nei musei autonomi e in quelli statali voluti dalla riforma Franceschini.
Seppure si potrebbe precisare che i costi del personale per i musei statali, non vengono conteggiati in questi bilancio, mentre si tratta di voci consistenti.
Tuttavia si può sostenere che è possibile ricercare un’economia di sistema con aggiornate metodologie di gestione.
E il vostro museo come funziona nella gestione economica??
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