IL METODO CASTELLI
L’approccio di un grande gallerista
Si nasce o si diventa galleristi?
Leo Castelli è riconosciuto nel mondo come uno dei galleristi più importanti, quale anticipatore delle tendenze e sostenitore dei movimenti d’avanguardia.
Triestino di nascita, apre la sua galleria a New York nel 1957 sostenendo artisti di fama internazionale, iniziando con mostre di quelli che poi sono diventati grandissimi artisti, come Jasper Johns o Robert Rauschenberg.
Castelli divenne il principale gallerista e punto di riferimento dell’arte americana degli anni ’60 e ’70, dalla Pop Art, alla Minimal Art per poi passare alla Conceptual Art.
La sua vita è colma di storie, di aneddoti, di rapporti con gli artisti sempre vivi e sempre accesi.
Lo stesso De Kooning parla di lui raccontando l’aneddoto: “Dagli due lattine di birra e le potrebbe vendere”, accompagnando la frase con epiteti, diciamo, non felici, che riguardavano questa persona.
Un aneddoto che poi è diventato anche realtà, in occasione della vendita delle due lattine di birra per i coniugi Scull.
Questo per far capire la forza di quest’uomo, il quale viene considerato oggi artefice di un metodo infallibile per diventare un gallerista di successo apprezzato dagli artisti, dai collezionisti, dai musei e dai loro direttori.
Storicamente il sistema di mercato delle gallerie prevedeva un rapporto tra gallerista e artista prettamente economico.
Il primo comprava le opere al secondo, dopodiché si occupava della vendita con suo relativo guadagno.
Leo Castelli fu il primo a vedere oltre questo apporto, creando un legame con gli artisti, un legame nel medio e lungo periodo soprattutto, supportando gli artisti, al di là dell’acquisto delle loro opere anche nella vita quotidiana, pagandogli l’affitto, pagandogli le spese, permettendogli di avere una vita serena per poter produrre la loro arte.
O ancora supportandoli nell’acquisto e nella produzione delle opere, dei materiali di realizzazione, facendo così anche un controllo sulla qualità ma soprattutto sul mercato degli artisti stessi, i quali iniziano a lavorare in esclusiva per lui, a favore di una trasparenza di mercato o quantomeno di una continuità economica, evitando inflazioni intrinseche nella vita stessa dell’artista o comunque nelle loro fasi di vita o di bisogno.
Infatti Castelli andava ben oltre e pensava anche alla programmazione, assicurandosi che i propri artisti fossero seguiti dalla stampa e promossi in tutte le mostre o comunque in qualsiasi occasione pubblica dov’era possibile confermare il loro valore artistico e quindi di conseguenza delle loro opere.
Possiamo però individuare cinque elementi classici del Metodo Castelli.
La prima è la visione artistica coerente, ossia, la selezione di artisti e di una programmazione artistica e culturale che possa essere unita e coerente tra loro e tra il loro operato, quindi creare una vera e propria squadra di artisti rappresentati e di conseguenza di opere vendibili ai propri collezionisti.
Il secondo punto sono le relazioni. Si dice che passasse gran parte della giornata al telefono a parlare i suoi collezionisti, con i suoi artisti, con i direttori del museo, a curare tutte quelle relazioni che saranno poi utili nel percorso e nella valorizzazione dei suoi artisti. Si narra anche che sentisse telefonicamente Jasper Johns tutti i giorni, questo un po’ per rassicurarlo,un po’ per condividere il suo lavoro.
Questa era la differenza che lui faceva rispetto agli altri galleristi: essere presente nella vita quotidiana dei propri artisti, supportarli completamente.
Il terzo punto è strettamente legato con quello precedente: il network.
Aveva un network internazionale nel quale si relazionava con musei e gallerie di tutto il mondo, questo per alzare sempre di più il livello dei propri artisti e poter così vendere in mercati diversi, in momenti diversi e avere una grande continuità e soprattutto una grandissima crescita e validazione degli artisti, ivi compresi quelli emergenti, che laddove non fosse lui in grado di seguirli, li affidava a gallerie più piccole o più adatte al genere dell’artista stesso, affichè essi potessero crescere e poi eventualmente tornare nella sua scuderia.
Il quarto punto riguarda la maniacale cura per i dettagli, dettagli che portavano il direttore della galleria, si racconta, a girare con una latta di vernice bianca tutti i giorni, per eliminare i segni nelle pareti o ancora sistemare i quadri.
Attenzione che veniva riposta anche in occasione delle mostre, con una particolare cura dei minimi dettagli a partire dagli inviti e da quello che sarà stato poi il vernissage e tutti gli eventi collaterali.
Ed infine, il valore più grande: andava contro tendenza.
Ossia Castelli non vendeva, Castelli parlava di arte, condivideva i propri valori con i suoi collezionisti come se fosse un amico, un cultore, una persona con cui scambiare quattro chiacchiere nell’arte.
Erano i collezionisti a volergli stare vicino, erano i collezionisti a rivolgersi a lui per poterci parlare, per poter vivere quella che era la sua galleria, il suo mondo, il suo entourage. Ed erano loro, quella stretta cerchia, che apparteneva allo status di Leo Castelli.
Un grande vantaggio quindi e soprattutto un grandissimo posizionamento, che gli permetteva di poter parlare d’arte liberamente e con grande passione, essendo tanto coinvolgente che la vendita era una semplice conseguenza di tutto questo.
Galleristi come Leo Castelli oggi sono molto difficili da trovare, tuttavia il suo metodo e il suo stile è quello che oggi rappresenta l’ideale di gallerista.
Con la sua visione ha segnato una svolta per l’intero mondo e mercato dell’arte.
E tu, quale gallerista vuoi essere?
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#ARTECONCAS / PODCAST
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